Sono dentro a un’auto assieme ad alcune persone. Senza che nessuno me lo dica, so che stiamo andando a fare un’escursione in montagna. È una certezza innata che forse deriva da frammenti dimenticati di ciò che è successo prima di trovarmi lì.
Ben presto l’auto inizia a percorrere una strada collinare che sale rapidamente, piena di tornarti e circondata da un boschetto di castagni e altri alberi (querce, tigli e aceri).
Ci fermiamo su uno spiazzo di ghiaia abbastanza ampio che funge da parcheggio naturale. Ci sono altre macchine e autobus fermi in quel posto. Lì vicino c’è anche un rifugio: una lunga casetta di legno disposta su un unico piano. La struttura è circondata dal verde: un prato ben curato che confina direttamente con la ghiaia del cortile. Tra i fili d’erba posso scorgere dei fiori selvatici colorati.
C’è uno stretto sentiero sterrato che dal parcheggio striscia di fianco al rifugio e s’inerpica, non troppo rapidamente, verso la montagna. Con la sua sola presenza, sembra invitarmi a seguirlo; così, con il sole alto che riscalda il mio corpo come se fossi una lucertola, m’incammino.
Ben presto il sentiero appare abbastanza affollato. Ci sono molte persone che avanzano lentamente guardando dritte davanti a loro: negli occhi hanno speranza e fede. Sembra quasi un pellegrinaggio.
Ad un certo punto smetto di osservare la gente e alzo lo sguardo verso il cielo che è di un azzurro limpidissimo. Alla mia destra e alla mia sinistra si alzano imponenti catene montuose. Hanno un colore argentato, quasi metallico; in alcuni punti ci sono delle frane, delle zone ciottolose chiare a tratti più brillanti. Inizio a pensare che le pareti montuose siano troppo verticali e che qualche masso finirà per cadere sul sentiero. Nonostante tutto, quelle montagne dai colori artificiali – così perfette da sembrare uscite dal pennello di un eccellete pittore – non mi incutono timore, anzi, mi affascinano. Non riesco a smettere di ammirare la loro magnificenza e di stupirmi della ripidità delle loro pareti rocciose. Mi arrampico sulle loro sporgenze con lo sguardo e giungo fino in cima. In quel momento mi rendo conto che sto guardando lo zenit, esattamente sopra la mia testa… Incredibilmente le cime dei monti sporgono verso di me come fiori piegati dal vento, le cime franose si arricciano formando un meraviglioso gioco di colori con il cielo azzurro. È una scena surreale: sembra che lì in alto manchi la forza di gravità, perché i massi e i ciottoli dovrebbero finirmi addosso, invece restano magicamente ancorati alla montagna.
©Monique Namie
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È tuo il dipinto/disegno?
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Sì. L’ho fatto a matita e poi colorato con un programma. Anche l’avatar che sto usando è un mio disegno. 😉
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Sei bravissima…credevo che l’avatar fosse qualche dipinto contemporaneo. Oh bene, appena mi sistemo col lavoro hai un cliente ahah…il disegno rende benissimo il racconto, ha quel filo di inquietudine che rende quasi antropomorfa la montagna. E le cose misteriose a me piacciono 😏
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Grazie! Il disegno per il racconto l’ho fatto abbastanza velocemente, giusto per cercare di rendere quello che avevo vissuto nel sogno, visto che non trovavo nessuna foto adeguata. Son contenta che ti piaccia. 🙂
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Davvero una bellissima immagine, potresti metterla da parte per uno dei tuoi mondi.
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Grazie! Sì, potrebbe essere un’idea! 🙂
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