Quella voce attraverso il tempo (parte II)

Parte I

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Agosto.
Non conosco il suo nome, non so quasi nulla su di lui, eppure ho iniziato a provare qualcosa nei confronti della sua voce. Non riesco più a immaginare le mie giornate senza le sue telefonate. Trovo tutto ciò sconvolgente, perché fuori dalla realtà e fuori dal buon senso. Trovo la cosa ancora più assurda se mi fermo a pensare che le voci delle persone cambiano con il tempo a seconda dell’età. Amo qualcosa che al momento non esiste più e che ha avuto una durata più breve della vita media di una persona.
Non so se ringraziare le leggi della fisica per il dono che mi stanno facendo, o se ridere di me stessa per l’assurdità delle emozioni che provo.
Certe volte mi siedo per terra ad aspettare che l’apparecchio si metta a suonare. Sul pavimento, a gambe incrociate, l’attesa è una dolcissima tortura. L’incertezza è come un masso di diverse tonnellate sostenuto da un sottile filo sopra la mia testa. Potrebbe cedere da un momento all’altro, ma qualcosa mi impedisce di andarmene. Il mio futuro dipende solamente dalla resistenza di quella fine cordicella che è la speranza.

Ogni volta che il telefono suona, un po’ della polvere che gli si è posata sopra durante la mia assenza scivola giù, ed è una slavina vista con gli occhi di un gigante.
Quando alla fine della chiacchierata riattacco la cornetta, la mente del ragazzo che sta dall’altra parte si azzera. Ricominciamo sempre da capo e ogni volta ritroviamo una sintonia familiare, come due persone che si conoscono da molto tempo.
Ci penso spesso: potrei dirgli qualsiasi cosa e alla fine sarebbe come se non gliel’avessi mai detta. Penso che potrei raccontargli di quanto amo la sua voce. La mia dichiarazione finirebbe comunque persa nel vento che ulula tra le fenditure delle pareti, fra le crepe del soffitto al piano superiore.
Anche se sono cresciuta con questo dono, dopo tanti anni non ho ancora capito come una cosa del genere sia possibile; non mi è chiaro nemmeno il motivo per cui certe manifestazioni del passato sostino più a lungo nelle mie percezioni, mentre altre svaniscano in breve. Temo che questo dubbio rimarrà irrisolto, a meno che, in futuro, io non decida di consegnarmi nelle mani della scienza.

Un giorno, dopo aver risposto al telefono con la solita parola d’ordine, ho osato chiedere che anno fosse. Per qualche secondo dall’altra parte della cornetta si è protratto il silenzio, tanto che pensavo fosse caduta la linea.
«È il 10 agosto 1942… », rispose infine un po’ esitante.
«Pazzesco!»
Lo sentii ridere. «Cos’è, uno scherzo?»
Per un attimo l’ho visto nella mia mente, l’immagine era arrivata da lontano come il flash di una saetta che illumina la notte. Capelli castani, occhi scuri e profondi arricciati da un lieve sorriso, un filo di barba a incorniciare un viso pulito e giovane. Ovviamente non sapevo se fosse veramente così, ma qualcosa mi suggeriva che il suo aspetto fosse abbastanza simile a quello che la mia mente aveva elaborato.
Prima che potessi dire qualsiasi altra cosa, il ragazzo parlò di nuovo: «Il mese prossimo è il mio compleanno. Compio ventitré anni.»
«Io ho un anno più di te», dissi infine, consapevole della contraddittorietà di quanto stavo affermando. Formulai mentalmente un veloce calcolo: se era ancora vivo, ora doveva avere quasi cent’anni.
Mi ero affezionata a una persona intrappolata in una parentesi temporale, un ragazzo che continuava a far squillare il telefono nonostante il cavo sfilacciato che non ospitava più nemmeno un watt di elettricità, un ragazzo che adesso forse non esisteva già più. Penso fu dopo quel pensiero che iniziai a desiderare che qualcosa di lui fosse sopravvissuto e avesse attraversato la storia fino a raggiungermi.

La seconda settimana di agosto, realizzai che un collegamento vocale verso una linea temporale passata mi importava molto di più di una relazione reale nel presente.
Ho fatto credere al mio datore di lavoro di essere malata, così, invece di fare la segretaria, ho momentaneamente preso i panni della detective. Ho aperto il portatile e mi sono messa a fare una ricerca negli archivi storici del catasto. Con una buona dose di fortuna, verso sera ho trovato ciò che cercavo. Tramite una serie di ricerche su città storiche italiane abbandonate, sono risalita al nome di Aurivo. Riconobbi il posto da una foto datata 1940. Si trattava di un comune fondato dal paladino Nobile Aurivo nel 1867, prima designato Borgo Lorus. Questa informazione era accompagnata da alcuni articoli: in uno si leggeva che il comune era stato teatro di un violento rastrellamento in epoca nazista: precisamente nel mese di agosto del 1942. C’era persino una lista di persone che avevano perso la vita durante il tragico evento. La stampai e studiai i nomi, ma ovviamente nessuno mi era familiare.
Per tutto questo tempo, io e il ragazzo del telefono, non ci eravamo mai presentati come si deve. Nella mia testa, in realtà, lui si chiamava Tell. Nome che probabilmente il mio subconscio gli aveva affibbiato pensando al telefono che ci metteva in contatto. Mi era sempre piaciuto dare un nome alle persone sconosciute che incontravo per strada, quelle che sapevo che non avrei rivisto più, e così avevo fatto anche con Tell.

Nei giorni seguenti mi recai sul posto quotidianamente, ma il telefono non squillò. Stavo iniziando a pensare al peggio, quando finalmente, dopo una lunghissima settimana di silenzio, il trillo del vecchio apparecchio telefonico mi ridestò al torpore.
Il suono del telefono in quel momento sembrò diverso, carico dell’ansia e del tormento che avevo dentro. Ci misi una manciata di secondi a raggiungere e sollevare la cornetta per rispondere. Avevo preso l’abitudine di gironzolare nei paraggi del numero civico 99 e, in quel momento, ero proprio sul selciato all’esterno dell’abitazione.
«Grazie a Dio hai telefonato!», esordii senza dargli il tempo di porre la solita domanda. «Ho bisogno di sapere subito il tuo nome.»
«Devo aver sbagliato numero…», disse lui dopo un attimo di titubanza. E certo, una pazza estranea che ti si rivolge in quel modo avrebbe spaventato chiunque. Mi maledissi e cercai subito una soluzione per non farlo fuggire ed eventualmente ottenere il suo nome.
Mi schiarii la voce. «Qui c’è il sole, il numero è giusto, solo che in questo momento sono occupata. Se mi lasci il nome e il numero, ti richiamo.»
Esitò qualche attimo e poi mi rispose: «Capisco. Sono Piergiorgio e questo è il mio numero…»
Mentre lui mi forniva le cifre, io controllavo i nomi sull’elenco che avevo portato con me. C’era un Piergiorgio alla quarta riga della lista. Sentii il panico crescere.
«Bene, mi sono appena liberata da quell’impegno», lo interruppi. «Ascoltami, quello che sto per dirti ti sembrerà insensato, ma devi lasciare il paese immediatamente! Mi hai capito?»
«Perché dovrei farlo?»
«Perché ci sarà un rastrellamento…»
«Shhh! Sei pazza! Se è uno scherzo non è divertente», mi bloccò.
Rimasi per un attimo interdetta. Perché non voleva che parlassi di rastrellamenti? Temeva forse che potessero rintracciare la chiamata? Non mi risultava che al tempo ci fosse la tecnologia necessaria per compiere intercettazioni telefoniche, ma potevo anche sbagliarmi: non sono una storica.
Tralasciai quelle riflessioni e ripresi a parlare con fervore: «Non è uno scherzo! E anche se lo fosse, che cosa ti costa darmi ascolto? Sei in pericolo! Ti devi fidare di me.»
Seguì il silenzio. Credo di non aver mai udito una quiete più desolata e profonda di quella. Né un sospiro, né un fruscio o un borbottio. Nulla. E poi Piergiorgio-Tell riattaccò.

Settembre.
Le foglie degli alberi stanno ingiallendo. La prateria dei Lamberti sembra più ampia, ora che la città fantasma è scomparsa. Non c’è più nessun telefono che squilla, ma solo campi lasciati incolti, una fila alberi secolari che segnano un vecchio confine e il solito fiumiciattolo serpeggiante. Quella voce attraverso il tempo sembra un ricordo lontano, la voce di un fantasma che continua a vivere da qualche parte nel passato.

Fine.


Licenza Creative Commons “Quella voce attraverso il tempo” di Monique Namie
è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.


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