Avevo già parlato di “Lettera a un bambino mai nato”, ora mi concentrerò sul secondo titolo presente nel volume: “Se il sole muore“.
Si tratta di un reportage, pubblicato per la prima volta nel 1965, che mi ha fornito molti piacevoli spunti di riflessione.
Se deciderete d’immergervi in questa lettura, vi troverete catapultati in un’altalena che oscilla tra passato e futuro. Fin dalle prime righe viene descritta una realtà che ricorda molto il genere fantascientifico. Erba di plastica, piante di gomma, fiori di vetro, robot che guidano automobili in modo ordinato, tutti alla stessa velocità, senza curarsi di quello che li circonda. Si scopre poi che questo simulacro di mondo, in cui si muove la protagonista, altro non è che Los Angeles e poi l’America in generale. Nonostante ciò, non è propriamente corretto parlare di fantascienza, infatti, proseguendo sopraggiungono le parti storiche, le visioni di un ieri devastato dalla Seconda Guerra Mondiale, ma anche un ritratto di terre vergini, di natura incontaminata in cui gli uomini possono stare soli e ritrovare la libertà. La cosa forse più sorprendente e sconcertante è che nulla è frutto della fantasia. Per citare le stesse parole dell’autrice:
“Tutto ciò che [questo libro] contiene dalla prima all’ultima pagina m’è veramente accaduto, l’ho veramente visto, l’ho veramente sentito, l’ho veramente pensato. Sono veri i nomi delle persone e sono veri i nomi dei luoghi. Sono vere le date e i discorsi che riporto.“
La Fallaci presenta ciò che vede con un tono che sa di critica implicita nei confronti della smodata fiducia nei confronti della scienza e della tecnologia. Non ci sarebbe nulla di male in ciò: il progresso permette all’umanità di vivere meglio. Il lato negativo spunta quando ci si rende conto che, spesso, gli stessi uomini che innalzano la praticità, disprezzano le arti. La letteratura, la musica, la pittura, l’architettura antica non hanno più alcun valore, perché non aiutano ad andare nello spazio e a esplorare altri pianeti. “Raseremo a terra Firenze. La faremo più razionale. Saremo a terra Parigi. La faremo più comoda”, dice Herb Rosen, un uomo che non comprende la bellezza delle costruzioni intrise di storia, e pensa solo alla praticità.

Con “Se il sole muore” la Fallaci è riuscita a sorprendermi per la seconda volta. Durante il suo soggiorno in America incontra e intervista molti astronauti, personaggi importanti della NASA e non solo. Il suo modo di approcciarsi a loro è naturale e poco professionale, ecco perché finisce per farseli amici. Sembra che questa donna, attraverso le sue interviste, sia capace di catturare l’essenza delle persone e che riesca senza difficoltà ad analizzare e creare riflessioni accattivanti su ogni argomento. Il tutto è presentato con uno stile semplice, colloquiale, eppure arricchito di poesia. Così ai suoi occhi Manhattan diventa “un ricamo di vecchi grattacieli”, a New Orleans si stagliano “balconi di ferro che vestono le case bianche in delicatissimi pizzi”, e New York è “un bagliore di finestre accese: migliaia e migliaia di stelle quadrate nel nero del cosmo”.
In questo libro della Fallaci i personaggi sono tutti reali. Le loro testimonianze arrivano da interviste raccolte personalmente dall’autrice durante il suo soggiorno di un anno in America. La mia parte preferita è l’intervista a Ray Bradbury (grande scrittore di fantascienza autore di “Cronache marziane” e “Fahrenheit 451”). Oriana e Ray si mettono a discutere sul futuro, di come la scienza e la tecnologia cambieranno il mondo e dell’utilità dei viaggi nello spazio.
Il padre della Fallaci non appoggia la smania di chi vuole andare sulla Luna. Secondo lui “noi siamo fatti per vivere qui. Noi abbiamo bisogno di aria per respirare, di acqua per bere”. E lei, pur ribattendo in modo mirabile al pensiero del suo genitore (paragonando la Terra a una prigione), sente che nelle proprie considerazioni manca ancora qualcosa, non è del tutto soddisfatta. Una risposta esauriente la troverà, appunto, nelle parole di Ray Bradbury. Egli espone una tesi affascinante, dove le più ancestrali paure dell’umanità diventano esse stesse l’incentivo per una partenza verso nuovi mondi. La paura della morte, spinge l’umanità a trovare altri luoghi di vita. Immaginatelo come un uomo saggio e modesto che sussurra le parole con dolcezza, seduto in una casa del futuro, poco prima che il Sole si spenga per sempre.
Oriana, durante il suo soggiorno nel Nuovo Mondo, sembra inquieta, alla continua ricerca di qualcosa che abbia conservato il sapore romantico del passato. Quando pensa di esserci finalmente vicina, vede le proprie aspettative deluse, i propri eroi rovinati. Dove c’era la natura rigogliosa e un popolo in armonia con essa, il futuro del viaggio sulla Luna ha portato deserto, disboscamento e contaminazione. Se all’inizio la Fallaci sembra infastidita da tutto questo, nel corso del suo viaggio si può pian piano notare un cambiamento. Non dimentica i difetti del Sistema moderno, ma arriva ad accettarli come prezzo per pagarsi il futuro.
Questo articolo © Monique Namie
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Io lessi Lettera ad un bambino mai nato. Struggente.
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Quello è stato il primo testo della Fallaci che ho letto. Veramente struggente. Mi sono commossa più volte durante la lettura.
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Anch’io. Ho letto anche quelli che scrisse dopo le torri gemelle.
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dev’essere una lettura davvero interessante, la descrizione di questo libro cattura l’attenzione e ci pone dinanzi a delle riflessioni che non hanno tempo. Oggi come ieri la drammaticità di certi momenti appare in tutta la sua crudele freddezza.
Ottimo consiglio letterario 😉
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Grazie per il commento, caro Max. Anche questo libro di Oriana offre, in effetti, molti spunti di riflessione parecchio attuali. Per esempio, la questione dell’utilità dell’arte (spesso sottovalutata) e la cura del pianeta che è la nostra casa. 🙂
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