Titolo italiano: Ultima genesi
Titolo originale: Dawn
Autrice: Octavia Estelle Butler
Prima pubblicazione: 1987
La Terra è stata martoriata da un olocausto nucleare che ha estinto quasi completamente ogni forma di vita.
In questo scenario post-apocalittico, l’inquietante razza aliena degli oankali viene in soccorso dei pochi sopravvissuti. Lilith Iyapo è una dei superstiti. Quando si risveglia, prigioniera in una stanza grigia, non sa che i suoi carcerieri sono extraterrestri e che si trova nella loro astronave in orbita attorno alla Terra.
Gli oankali hanno pian piano risanato il pianeta rendendolo ricco di foreste come lo era allo stato primordiale. La loro intenzione è quella di ripopolare il nuovo habitat naturale liberando gli umani tratti in salvo.
Tutto molto bello e altruistico, tanto che viene da chiedersi dove sia l’inghippo. In effetti, le creature aliene vogliono qualcosa in cambio: la possibilità di effettuare manipolazioni genetiche, l’opportunità di fondere la loro razza con quella umana.
La storia si svolge interamente all’interno della nave aliena. Lo sviluppo della trama mi ha fatto pensare a un videogioco a livelli. L’autrice svela indizi al lettore in modo graduale, tenendosi sempre focalizzata sul punto di vista di Lilith, che potremmo considerare il nostro personaggio di gioco.
Inizialmente ci si risveglia in una stanza d’isolamento. Poi si deve dimostrare di essere pronti per il passo successivo: sopportare la vista terrificante di una creatura aliena. Dopo la vista, bisogna allenare il tatto a resistere al contatto di mille orribili tentacoli. Se ci si dimostra abbastanza adattabili e degni di fiducia, gli alieni vi proporranno di apportare delle migliorie al vostro corpo attraverso la manipolazione genetica. Accettando questo compromesso, si potranno aprire compartimenti dell’astronave fino a prima inaccessibili e aggirarsi liberamente per i corridoi. E così via fino ad arrivare allo scontro finale, l’ultimo livello che, se superato, conduce alla vittoria.
Giunta all’ultima pagina ho intuito l’intenzione dell’autrice di scrivere qualcos’altro su Lilith: gli elementi per un sequel c’erano tutti. Nonostante la vicenda qui narrata sia autoconclusiva, alcune dinamiche affettive e alcune promesse restano in sospeso. Poi ho scoperto che questo libro è il primo della trilogia intitolata Xenogenesi. Il secondo e il terzo si intitolano rispettivamente Adulthood Rites (Ritorno alla Terra) e Imago (di cui non si trovano riscontri in italiano). Per questa trilogia pare che la Butler si sia recata in Amazzonia per un po’ in cerca di documentazione. Le ambientazioni naturali, dunque, non sono lasciate al caso, ma sono il risultato d’importanti ricerche. Sorprendentemente anche nel primo libro si trovano tali paesaggi: l’astronave aliena, infatti, ospita al suo interno la riproduzione di una foresta tropicale.
Veniamo adesso ai significati che mi è parso di percepire tra le pagine. Octavia nacque a Pasedena, negli Stati Uniti, nel 1947; la sua vita fu difficile, probabilmente anche per il colore della sua pelle. In Ultima Genesi, narrando di incroci tra umani e alieni e di tutti i problemi psicologici connessi, a me sembra alludere alla difficoltà di vivere nel rispetto delle diversità. La protagonista Lilith riesce ad adattarsi, mentre altri suoi simili no. Nell’uomo è radicata la paura e il rifiuto per il diverso, e ciò può scatenare comportamenti violenti. Allo stesso tempo, Octavia, invita a una riflessione forse ancora più importante che riguarda il cambiamento. Se la gente vuole tornare a ripopolare la Terra deve prima subire dei miglioramenti genetici. L’avere i propri geni manipolati, tuttavia, estinguerebbe la vera essenza degli esseri umani. Nel momento in cui due diversità vengono a contatto, l’unica soluzione per sopravvivere è evolvere a discapito della propria identità.
L’autrice riesce a creare una piacevole alternanza tra avventura e analisi sociologica. I momenti di azione s’intrecciano con quelli di analisi dei comportamenti umani.
Per concludere, ecco ciò che la Butler dice di se stessa e del suo lavoro:
“Ho cominciato a scrivere fantasy e fantascienza perché mi sembrava fossero i generi che mi permettevano la massima libertà e la più grande creatività.
Sono confortevolmente asociale, una eremita in una grande città, pessimista se non sto attenta, studiosa, infinitamente curiosa, femminista, afroamericana, uno strano miscuglio di ambizione, pigrizia, perplessità e sicurezza.”
Questo articolo © Monique Namie
è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 4.0 Internazionale.
è sempre interessante leggere le tue recensioni, buona lettura 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie Max! Buona giornata a te! 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona