Storia scritta per il club di Aven
Tema: volare
Nota dell’autrice:
Questo micro-racconto, ambientato in un futuro imprecisato, ha probabilmente delle sfumature un po’ surrealistiche. Non era mia intenzione creare qualcosa di troppo saldamente ancorato alla realtà.
All’inizio passavo le mie giornate sotto la pista di un aeroporto. Aerei che decollavano e atterravano ogni cinque minuti. Una meraviglia. Gli atterraggi soprattutto. Sembrava di poter toccare la fusoliera solo alzando un braccio.
C’erano cartelli di pericolo un po’ ovunque e molti divieti, ma io sostavo lì ipnotizzato da quel librarsi d’ali metalliche.
Poi, un giorno, mi mandarono via. Allora attraversai la steppa fino al cosmodromo. Per non farmi vedere stavo sdraiato a terra indossando abiti del colore del suolo.
I razzi e le navette decollavano ogni trenta minuti, ma lo spettacolo valeva un’attesa ben maggiore. C’erano i veicoli spaziali turistici diretti sulla Luna e su Marte, e quelli delle missioni scientifiche che si spingevano più in là, in luoghi misteriosi.
Quando una navetta partiva, con la mente io ero lì dentro: una presenza invisibile attorno ad astronauti, cosmonauti e ricchi passeggeri ignari della mia esistenza. Arrivavo fino in orbita e poi tornavo giù assieme al vettore che attraccava alla base per il rifornimento di carburante. E poi su di nuovo.
Ero elettrizzato dalla voce dei razzi che faceva tremare l’aria e rapito dalle forme aerodinamiche che attraversavano l’atmosfera. Ero colmo di un’emozione indescrivibile che rendeva ogni mia molecola protesa verso la meraviglia del volo. Sì, volevo volare anch’io. Era questo che desideravo fare della mia vita: metterla al servizio della scienza astronautica. Così, durante i tempi d’attesa tra un decollo e l’altro, studiavo il russo, in modo da non farmi cogliere impreparato.
Quando si accorsero della mia presenza al cosmodromo, arrivarono i militari. Mi scortarono fino alla caserma vicina alla base di lancio. Volevano sapere chi ero, perché ero lì, se ero pericoloso. Un ragazzo normale non se ne sta tutto il giorno steso in mezzo alla steppa a vedere veicoli spaziali andare e venire. E forse avevano ragione loro: non ero una persona comune. Quando mi chiesero le generalità risposi in russo: «Меня зовут Будущий Астронавт. Il mio nome è Futuro Astronauta».
“Ali di metallo”
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Diverso dal tuo solito stile ma si riconosce la mano! Bello ❤ l'ho trovato molto particolare
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Grazie, Alice! Probabilmente è più surreale e leggermente onirico rispetto ad altri miei racconti 🙂
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