
Titolo italiano: Altrove contatti nel cosmo
Titolo originale: Otherness
Autore: David Brin
Prima pubblicazione: 1994
Si tratta di una raccolta di racconti e saggi che, pur essendo stati pubblicati nel 1994 (e alcuni scritti anche negli anni ’80), possono comunque offrire dei ragionamenti molto attuali.
Tra le storie che più mi hanno colpito spicca “Rifiuti“. Racconta di un particolare tipo di archeologia futura. I protagonisti della storia scavano in una discarica di Los Angeles e catalogano tutto ciò che trovano in modo maniacale. Per aiutarsi nella datazione degli strati usano volantini pubblicitari, posta e scontrini gettati nell’immondizia nel passato che sono riusciti a conservarsi. In questo racconto mi sono ritrovata a sottolineare diversi passaggi, e voglio riportarne almeno uno: “I nostri scarti, i nostri giocattoli, i nostri servitori meccanici rotti, i nostri giornali vecchi… come abbiamo potuto pensare che i legami che ci uniscono alle nostre cose potessero essere spezzati semplicemente gettandole via? Il destino unisce strettamente il creatore alla creatura.”
Il racconto che mi è piaciuto di meno, invece, è “Lavoro a cottimo“, dove le donne appaiono quasi come fabbriche viventi sforna-bambini. E il prestigio sociale dipende dalla qualità del prodotto che danno alla luce. L’autore è stato probabilmente influenzato dall’esperienza della paternità che stava vivendo in quel periodo.
Come si intuisce dalla parola “contatti” presente nel titolo della raccolta, nel libro compaiono alcune storie che parlano proprio di incontri ravvicinati con creature extraterrestri. Una di queste è “Comunione con Genji“, dove i protagonisti sono una squadra di esploratori terrestri che sbarcano sul pianeta Genji (abitato da creature intelligenti simili a salamandre) essenzialmente per studiarne la storia evolutiva e trovare qualcosa di commestibile.
David Brin ha deciso di dare un po’ di spazio anche a un sottogenere della fantascienza che col tempo è stato preso sempre meno in considerazione: il racconto di idee o esperimento mentale. L’autore ammette che con questa tipologia viene a mancare una buona caratterizzazione dei personaggi ed è più difficile creare uno stile narrativo di qualità. Penso che abbia ragione, ma credo che anche da questi testi si possano ricavare delle riflessioni importanti. Viene detto, per esempio, che gli scettici condividono la stessa passione dei fan degli UFO per le meraviglie del cosmo. Solo che i primi si interrogano sul perché e vogliono svelare il mistero (“A che cosa serve un indovinello se non può essere risolto?”) e i secondi si accontentano della “magia” che è il motore della loro fede. Ecco perché in certi casi è “inutile citare i dati scientifici per respingere il sovrannaturale.”
Molto intriganti anche i racconti ambientati nello spazio che si leggono verso la fine del libro. “Bolle“, per esempio, parla del vuoto presente tra gli ammassi di galassie, ed è una storia nata da una sfida (poiché nessuno, prima di allora, aveva mai osato ambientare una storia nel desolato spazio intergalattico).
Si direbbe quasi che a David Brin stiano a cuore le argomentazioni religiose e sovrannaturali, così come le spiegazioni scientifiche. Spesso tende a contrapporre idee di personaggi che nutrono una fede cieca a quelle di personaggi più razionali, creando delle discussioni molto interessanti.
La frase che più mi ha colpito proviene dall’ultimo saggio del volume. La voglio riportare, perché credo che possa offrire un buon spunto di riflessione personale: “Se credete in qualcosa, dovete cercare di provarla e magari di convincere gli altri. Ma lasciate sempre a qualcuno la possibilità di dimostrare che avete torto.”
© MONIQUE NAMIE
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