Tornerò

Trama: Un astronauta, che ha abbandonato gli affetti sulla Terra per affrontare una missione ai confini dell’universo, si trova ad affrontare una situazione piuttosto critica.
Song-fic basata sulla canzone de I Santo California – Tornerò

 

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Rivedo ancora il treno
allontanarsi e tu
che asciughi quella lacrima.
Tornerò.

Le luci intermittenti della console di comando segnalano che mi trovo nei pressi di una supernova che sta collassando. I dati sono chiari: la sua massa è sufficiente a originare un buco nero. Se voglio sperare di superare indenne la trappola che l’universo mi ha preparato dinanzi, devo attivare immediatamente gli scudi esterni per proteggere i motori e lo scafo.
In assenza di gravità i movimenti sono più lenti e impacciati, ma riesco a raggiungere il computer e inserire i nuovi comandi. È incredibile come, a quasi un anno dalla mia partenza, non sia ancora riuscito ad abituarmi a vivere nello spazio. Ricordo l’ultima sera passata assieme a te come se l’avessi vissuta ieri. Il tempo quassù sembra non seguire regole: talvolta accelera, trascinando la lancetta dell’orologio atomico – quello sincronizzato con il tuo sulla Terra – a velocità vertiginose; talvolta rallenta, fino quasi a fermarsi, e allora, dalla cupola della mia navicella, posso osservare un universo immobile, i cui colori sembrano pennellate rabbiose sulla tela di un astrattista.

Com’è possibile
un anno senza te?
Adesso scrivi, aspettami.
Il tempo passerà.

Rivedo, tra i miei ricordi, la rosa che ho lasciato sul cuscino prima di andarmene via: chissà se la conservi ancora o se l’hai già gettata via. Quella mattina mi sono alzato piano per non svegliarti; non volevo che mi venissi a salutare alla stazione, perché le lacrime e gli addii non mi sono mai piaciuti. Sono salito su quel treno di metallo azzurro, diretto alla base di lancio senza nessun pentimento. Chissà che cosa avevo in mente. Forse pensavo che tanto un anno passa velocemente e l’amore trascende il tempo. E adesso mi trovo qui, nel quadrante inesplorato di una galassia sconosciuta, mentre dal motore della mia navicella proviene un rumore sinistro: temo che non abbia la potenza necessaria a sfuggire dal campo gravitazionale di quella maledetta supernova che sta collassando. La cabina di comando si è ormai trasformata in una discoteca di luci accecanti, e la foto di noi – abbracciati e sorridenti – mi passa davanti, fluttuando poi verso un angolo. Se riuscirò a tornare, ti sposerò, lo prometto.

Un anno non è un secolo.
Tornerò.
Com’è difficile
restare senza te.

Spero mi avrai perdonato per averti abbandonata così. Nei momenti vuoti, riguardavo spesso i tuoi vecchi videomessaggi: ormai ho imparato a riconoscere, nel tuo sguardo, quella luce cupa di rimprovero. Forse avevi ragione ad essere gelosa dell’universo. Che cosa ci ho guadagnato con questo viaggio? Sì, ho visto la luce rossa di una stella morente e quella bianca di una stella nascente; ho captato il segnale lontano di una stella variabile pulsante che sembrava musica, e mi veniva voglia di danzare, di danzare con te. Ho compreso le equazioni che descrivono il moto delle galassie in formazione e ho raccolto campioni di materia primordiale, ma in tutto questo credo di aver perso te. E allora il dubbio mi assale e una domanda mi sorge spontanea: ne è veramente valsa la pena?
Spengo tutte le luci intermittenti che segnalano il pericolo imminente e attivo i comandi manuali. Le sirene assordanti degli allarmi si acquetano e torna finalmente la pace; è un silenzio surreale nel quale, per un attimo, credo di sentire il respiro del cosmo.

Sei, sei la vita mia.
Quanta nostalgia
senza te.
Tornerò.
Tornerò.

La stella che mi tiene prigioniero si fa sempre più buia: i suoi ultimi flash di luce si allungano e si perdono in vortici nello spazio circostante. Li ammiro dall’oblò con rispetto reverenziale. Il collasso è quasi completo. So che mi resta poco tempo. Se non mi allontano prima che si trasformi in un buco nero, rischio di essere risucchiato. Sarei il primo uomo a varcare l’orizzonte degli eventi; un gran privilegio, certo… ma non potrei raccontarlo mai a nessuno.
Disattivo tutte le apparecchiature superflue e convoglio la loro energia in parte ai propulsori inerziali laterali e in parte ai motori ausiliari; per assicurarmi un risultato tangibile, uso persino l’energia prodotta dal generatore di riserva, quello che di solito entra in funzione solo in caso di avaria. L’unico computer che ho lasciato in funzione mi sta mandando i dati in tempo reale di ciò che succede all’esterno; oltre le quattro pareti metalliche della mia navicella sembra proprio che si stia scatenando l’inferno. Qualcosa colpisce violentemente il parabrezza blindato del mezzo, creando una piccola ma spaventosa incrinatura. Ora ho un nemico in più che mi ostacola: la pressione dell’atmosfera interna. Se il vetro non regge ed esplode, l’interno della navicella verrà ferocemente catapultato nel vuoto dello spazio. Istintivamente indosso il casco della tuta da astronauta che già vesto; con questo addosso, in caso di incidenti, potrò sopravvivere per qualche istante in più. Improvvisamente il computer va in corto, le luci si spengono e dai cavi fusi scendono cascate di scintille. Mi torna in mente la volta in cui siamo andati a vedere i fuochi d’artificio in riva al mare. Credo di sentire ancora la tua voce e il sapore di quel bacio…

Da quando sei partito è cominciata per me la solitudine.
Intorno a me c’è il ricordo dei giorni belli del nostro amore.
La rosa che mi hai lasciato si è ormai seccata
ed io la tengo in un libro che non finisco mai di leggere.

Quando le pareti della navicella iniziano a dilatarsi capisco che la fine è vicina. La stella ormai si è spenta, e quella sua massa supercompatta ha deformato irrimediabilmente la struttura dello spazio-tempo. Tutto perde di significato: che cos’è lo spazio senza le tre dimensioni? Che cos’è il tempo senza un prima e un dopo? Vengo attratto da quell’infernale abisso che è come un magnete; sono troppo vicino al campo gravitazionale del buco nero, non posso più fare nulla, se non pregare. Il carburante è esaurito e ogni manovra risulta inutile, quindi abbandono i comandi, slaccio la cintura di sicurezza e mi lascio fluttuare. Il corpo perde sensibilità, tanto che ho l’orribile sensazione di essere spalmato su un’immensa superficie senza fine.
Scintille, rumori assordanti e scossoni. La nostra foto deformata ora sembra un’opera liquefatta di Dalì che si dissolve nell’acqua. Mi chiedo per l’ennesima volta se ne è valsa la pena, ma non trovo nemmeno la forza di darmi una risposta.
Il mio orologio atomico – quello sincronizzato con il tuo sulla Terra – è impazzito: un secondo equivale ad un mese o forse più. Chissà come ti muovi veloce da una stanza all’altra, in quella piccola casa bianca, su quella regione temperata di quel pianeta verde e azzurro che è la nostra culla. Chiudo gli occhi e penso a te: se potessi tornare indietro forse non partirei. Al posto di quella rosa, sul letto, troveresti me.

Ricominciare insieme…
Ti voglio tanto bene.
Il tempo vola, aspettami.
Tornerò.

Mi risveglio improvvisamente affannato e sudato. Per un attimo credo di aver solo sognato, ma quando gli occhi si abituano alla poca luce, riconosco l’interno della mia navicella. Mi manca l’aria, tolgo il casco e prendo un grande respiro. Se la scorta di ossigeno presente nella tuta è terminata, significa che sono rimasto privo di sensi per almeno un’ora. Dagli ultimi dati elaborati dal computer prima che smettesse di funzionare, si direbbe che la navicella sia finita direttamente dentro alla singolarità creata dal buco nero. Non riesco a capacitarmi di essere sopravvissuto, ma sono felice. Cerco nei dati un riferimento, una qualche coordinata per capire in che zona dell’universo mi ritrovo a vagare. I motori sono andati e le riserve d’ossigeno dell’ambiente sono scese al trenta per cento. Quante probabilità ho di riuscire a tornare? Nessuna, direi. All’esterno, oltre gli oblò, un lenzuolo nero è steso su tutta la superficie visibile. L’unica fonte di luce è il solitario schermo di uno dei computer di bordo, l’unico che ho lasciato acceso.
L’orologio atomico – quello sincronizzato con il tuo sulla Terra – ha smesso di girare. Si è solo rotto o sta dicendo la verità? Non ho alcun modo di saperlo. Quella supernova è stata la mia rovina; collocata nel quadrante inesplorato di una galassia sconosciuta, si è trovata a collassare su se stessa nel preciso momento in cui io passavo di lì, per risucchiarmi e farmi sparire. Inizio a pensare che non si sia trattata di una coincidenza. Me la ricordo quella volta al lago, sai. Mi confessasti che, se ne avessi avuto la possibilità, avresti cambiato le leggi dell’universo solo per farmi un dispetto. Eri gelosa del cielo, forse perché lo desideravo un po’ più di te. La tua è stata un mossa azzardata! Come hai potuto? Ma forse sto solo delirando… Una spia rossa mi avverte che l’ossigeno e sceso sotto i valori minimi e faccio fatica a respirare.

Pensami sempre, sai,
e il tempo passerà.
Sei, sei la vita mia.
Quanta nostalgia
senza te.
Tornerò.
Tornerò.

Fiammate dorate e rosso fuoco abbracciano le vetrate blindate: mi rendo conto che sto precipitando. Ma dove? Forse da qualche parte nella singolarità c’è un altro mondo. Lo scudo termico della navicella è danneggiato, tutti gli apparecchi sono inutilizzabili, ma a me basta che funzioni l’airlock della capsula di salvataggio. Con movimenti impacciati entro in quella che è la mia ultima speranza di salvezza. Mi assicuro che la chiusura stagna funzioni, dopodiché sgancio la capsula dalla navicella. La foto di noi due abbracciati e sorridenti si allontana dentro all’astronave in fiamme. Il ricordo di noi brucia. Diventa un bagliore lontano e poi si spegne. Di nuovo la solita domanda fa irruzione nei miei pensieri: ne è valsa la pena?

Amore, amore mio!
Un anno non è un secolo.
Tornerò.
Pensami sempre, sai!
Tornerò.


NdA: Tornerò de I Santo California è una canzone degli anni ’70 che io ho scoperto nel 2015, anno in cui ho scritto questa song-fic. Di una cover in particolare mi aveva colpito il tono malinconico del cantante che, quando dice “tornerò”, sembrava voler convincere se stesso di qualcosa che in realtà non si sarebbe mai realizzato. Partendo da questa idea personale, quando ho iniziato a scrivere il racconto, avevo deciso di farlo finire nel peggiore dei modi… nella prima versione non sono riuscita ad abbandonare il protagonista a un destino infelice, ma dopo la revisione sono arrivata a questo risultato che si avvicina di più al mio pensiero originario.

“Tornerò”.
Tutti i diritti sono riservati © Monique Namie



6 pensieri riguardo “Tornerò

  1. Che cosa sei andata a pescare 😀 Io quella canzone la conosco praticamente da bambino, ce l’ho anche su vinile su una raccolta degli anni ’70. Pezzo molto in linea con le atmosfere dell’epoca, con questa cappa di malinconia “galleggiante” che hai reinterpretato in chiave “space”. La tua storia si incastra molto bene col pezzo, brava. Ti segnalo un altro bel pezzo anni ’70 – forse tra i più bei pezzi italiani per mix testo/musica – che riguarda un addio, stavolta di un pilota d’aereo che si è accorto che il suo volo sta per terminare in uno schianto e, negli ultimi attimi di vita, ricorda scene di vita e spera che ai suoi famigliari venga lasciata la speranza di rivederlo un giorno (spera che sia dato per disperso, e non per morto) pur di non farli soffrire: https://www.youtube.com/watch?v=SIjv4MQ1mVI

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    1. Alla fine del 2014 era uscito “Interstellar” al cinema. Credo di essermi lasciata un po’ influenzare da quel film per la scena del buco nero.
      Ho letto un’intervista di un membro del gruppo de I Santo California in cui si dice che “Tornerò” era diventata molto popolare tra i militari (che la cantavano come buon auspicio) e tra gli emigranti.
      Molto bella quella canzone dei Pooh, non la conoscevo! Io adoro i vinili, da piccola andavo spesso da mia nonna ad ascoltarli. 🙂

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      1. Quel pezzo dei Pooh è bello veramente, ma in generale tra il 1970 e il 1976 fecero grandi cose. Tornerò oggi viene un po’ “maltrattata” perché rappresenta un gusto un po’ ‘sentimentale’ rispetto agli standard odierni, un gusto ovattato e orchestrale/malinconico al contempo. Ecco, BAROCCO è la parola giusta! Sui vinili mi apri un mare 😀 Da anni compro vinili e ne faccio trasferire il suono, in alta risoluzione, presso una Audio Klinik di Francoforte. Non abbiamo ancora parlato di musica, ma sono cose da dire “di là” 🙂 Mi hai fatto venire un’idea comunque, ossia una nuova rubrica con “Musica d’altri” da tutto il mondo. Ho molte cose da dire al riguardo, grazie per l’input 😀

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    1. Ehilà, mi fa piacere che sei passata! 🙂 Riguardo il buco nero, una delle teorie chiama in causa i wormhole, quindi si può ipotizzare che il protagonista sia stato “teletrasportato” in questo modo a casa. Quando ho scritto il racconto, ricordo che pensavo al destino e avevo visto da poco Interstellar, dove ci sono degli esseri provenienti dal futuro che piazzano un wormhole vicino a Saturno per aiutare i terrestri. Il racconto su quella parte è vago per lasciare libera riflessione. Adesso, probabilmente, lo scriverei in modo diverso. 😀

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