Il Vajont fu però una strage che si poteva e si doveva evitare. Non è stata evitata perché sulla moralità, sul valore della vita, sulla legalità è prevalsa la logica senza cuore per la quale «gli affari sono affari».
Dal discorso del presidente del Senato Pietro Grasso del 9/10/2013.

Anche noi, qui in Italia, abbiamo la nostra piccola Hiroshima, tuttavia troppe poche persone conoscono la storia (soprattutto tra i più giovani), e se la conoscono non le danno abbastanza importanza.
Nel 2008 l’ONU ha classificato la tragedia del Vajont come il peggior esempio tra i disastri evitabili provocati dall’uomo. Nel 2011, il Comitato Sopravvissuti Vajont ha fatto diventare il 9 ottobre “Giornata Nazionale in ricordo di tutte le tragedie naturali e industriali”. Quanti di voi lo sapevano? Pochi, immagino. Eppure le caratteristiche per far entrare questa data nei libri di storia sono evidenti: quasi 2000 morti, un’intera città spazzata via in pochi istanti, ossa che emergono dal fiume a cinquant’anni di distanza, persone che dei propri cari non hanno più ritrovato nulla.
9 ottobre 1963, ore 22:39. Un’enorme frana si stacca dal monte Toc e finisce nell’invaso della diga del Vajont. L’onda che si viene a creare scavalca la diga e scivola verso un ignaro paese a valle condannandolo a una fine tremenda. Incanalandosi nella stretta gola, l’acqua prende velocità, comprime l’aria e raggiunge Longarone con un’energia pari a due bombe di Hiroshima.
Avevo già parlato del disastro che colpì Longarone e le frazioni più esposte in questo articolo: Qualcuno voleva cancellare la memoria del Vajont. Pochi giorni dopo ho intrapreso il viaggio verso Longarone, paese che non rivedevo da quasi vent’anni.
Della tragedia del 9 ottobre 1963 esiste il film Vajont di Renzo Martinelli, esistono alcune testimonianze video dei sopravvissuti, esistono foto del prima e del dopo visionabili sul web e il vivido monologo di Marco Paolini.
Da casa mia sono circa due ore di strada, 114 chilometri durante i quali ci si immerge gradualmente in un paesaggio montano dolomitico. La strada l’avevo memorizzata in testa (non ho il navigatore satellitare) e ogni riferimento che riconoscevo mi entusiasmava.
La prima tappa del viaggio della memoria è indubbiamente la diga, perché è da qui che ha avuto origine tutta la storia. Ci si arriva attraversando Longarone, il Piave e poi salendo i tornanti oltre Codissago. Il confine tra Veneto e Friuli si trova proprio dentro una galleria.

Parcheggiata l’auto, sono scesa verso la nuova chiesa di Sant’Antonio da Padova. Prima dell’invaso della diga, la chiesetta sorgeva in un punto basso che sarebbe stato sommerso. La SADE aveva preso l’impegno di ricostruirla più in alto, mantenendo le parti originali di maggior pregio storico, tuttavia l’ondata del 1963 la distrusse irrimediabilmente. Ora al suo posto sorge una chiesa dallo stile più moderno che porta il ricordo della tragedia.


Dallo spiazzo della chiesa, un sentiero scende fino alla base della diga. Bisogna ricordare che quelli visibili da questo lato sono solo i 50 metri superiori del colosso di cemento, e più sotto ci sono circa altri 200 metri ormai coperti dalla massa franosa.

La seconda tappa del viaggio è il paese di Longarone. Ma prima di ridiscendere, vale la pena sostare un po’ e lasciarsi impregnare dall’incanto del paesaggio circostante. Alcune pareti rocciose sono anche attrezzate per l’arrampicata.
In tutta questa bellezza aleggiano ancora le ombre di una tragedia che ha reso la roccia, la terra e l’acqua di questa porzione di mondo elementi sacri.



Giunta al centro di Longarone, mi sono diretta verso la chiesa monumentale santa Maria Immacolata. Al suo interno sono conservate alcune statue lignee originali recuperate dall’acqua. La zona denominata museo Pietre Vive ospita altri resti: parti decorative in marmo, pezzi di colonne, statue mutilate, una campana intatta, altre sbriciolate.
Su una parete è esposta una foto dell’interno della vecchia chiesa, ed è impressionante riconoscere i pochi frammenti sopravvissuti: sono piccole tessere di un puzzle che non sarà mai ricomposto. E mi viene da pensare: se il marmo e il bronzo sono stati ridotti così, che ne è stato delle persone?




Della frazione di Pirago, quella notte rimase in piedi solo qualche brandello di casa e il campanile della chiesa, ancora oggi visitabile.


Termino con un invito. Longarone non è un paese sperduto tra i monti. Se si va a Cortina, si passa anche per Longarone. Se siete diretti verso le Dolomiti, sostate un po’ anche nei luoghi della memoria, visitate la diga, i musei, il campanile di Pirago, il cimitero monumentale. E ricordate che lì, dopo il 9 ottobre 1963, per un po’ c’è stata solo una spianata di sassi e fango, e che le molte persone non ritrovate riposano ancora sotto quella terra e lungo il corso del fiume Piave.
Per approfondire:
Sul cinquantesimo anniversario del disastro del Vajont
«Così salvai dal Piave la Madonna in legno»
© Monique Namie
Instagram: Monique Namie
I miei racconti su Wattpad: MoniqueNamie
Ottimo reportage di un luogo vicino a casa mia, ma di cui non avevo visto alcune cose (Pirago e la vista da sopra la frana ad esempio). Aggiungerei il cimitero delle vittime del Vajont che si trova in località San Martino… Molte grazie del bellissimo post!
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Hai ragione, vale la pena fermarsi anche al cimitero monumentale (dove sono presenti alcuni reperti, come gli orologi fermi all’ora del disastro). Avevo organizzato il viaggio velocemente. Dovrò tornare l’anno prossimo per completare la visita della parte vecchia di Longarone (col municipio risparmiato dall’onda), e per fare una sosta nei paesi di Erto e Casso.
Grazie a te per aver apprezzato il mio report.
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Ricordo di aver visto il film che hai citato, ma prima di allora non sapevo nulla di questo avvenimento.
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Purtroppo è così, non se ne parla mai abbastanza. E chi non abita in zona, difficilmente conosceva la storia prima che trasmettessero il film.
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Ci sono stata 20 anni fa, mi sono emozionata fino alle lacrime. ero accompagnata da amici pompieri che mi hanno raccontato tanto del disastro.
Non si può dimenticare.
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Visitare quei posti, ha emozionato molto anche me. Nel mio piccolo cerco sempre di parlarne per tenere vivo il ricordo.
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Bell’articolo, si sente che è denso ed è costato molto impegno (fosse anche solo per le belle foto)!
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Grazie! 🙂
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quanto era uscito il film ero andata a vederlo al cinema, è stato veramente impressionate, mi ricordo che a stento ho trattenuto le lacrime.
come dici tu, se ne parla poco e non è giusto…
anche perché dagli errori bisognerebbe imparare, ma se li tengono nascosti…
Bellissimo il tuo articolo, complimenti
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Il film è davvero molto toccante. Purtroppo quando è direttamente coinvolto anche lo Stato, questo fa di tutto per tenere all’oscuro la popolazione. Basti pensare che solamente nel 2013 (50 anni dopo il disastro), col discorso di Pietro Grasso, lo Stato ha trovato il coraggio di scusarsi pubblicamente.
Grazie a te per aver apprezzato il mio articolo!
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bellissime immagini a descrivere il dolore di questa ferita che deve servire da monito per tutte le opere umane che in qualche modo possono mettere a rischio la vita. Sono passati molti anni, eppure la realtà di certe tragedie non è mai troppo lontana, la natura spesso insegna che non bisogna mai sottovalutarla, soprattutto nel suo imprevedibile destino.
Bellissimo articolo, hai fatto bene a parlarne in occasione di questa importante ricorrenza di cui pochi hanno parlato oggi.
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Riflessioni del tutto condivisibili, le tue, Max. Grazie per aver apprezzato le foto e l’articolo!
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La statua della Madonna non l’avevo mai vista. Grazie
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Si trova proprio dentro la nuova chiesa del paese di Longarone.
Grazie a te per il commento.
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Grazie a te.
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